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17 maggio. Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia

inserita il: 07/05/2021 08:58

Il Greenwich Village
Il Greenwich Village è un quartiere di New York decisamente insolito. Le sue vie sono, ad esempio, identificate con un nome, contrariamente alla diffusa abitudine cittadina di contrassegnare le strade con un numero. Una caratteristica sopravvissuta dai tempi in cui il Village, come viene semplicemente chiamato, era appunto un piccolo villaggio colonico separato dal resto della città.
Il Village è un quartiere speciale. Ancora oggi, passeggiando lungo le sue strade, si respira quell’anticonformismo, quella tolleranza e quella voglia di progresso sociale e culturale che da sempre anima la sua comunità. Non a caso il Village è per tradizione culla di una vivace scena artistica: dalle avanguardie dei primi del Novecento alla Beat Generation, che qui aveva il suo fulcro. Nel Village furono gettate le basi di quello che fu poi tra i più importanti movimenti di controcultura giovanile dello scorso secolo: il movimento hippy. 
Ma il Village è per New York anche la culla dei movimenti per i diritti degli omosessuali. Fu in una delle sue strade, la McDougal Street, che nel 1890 nacque il primo locale dove gli uomini andavano per incontrare altri uomini. La chiusura di questo locale, The Slide, nel 1892 segnò l’inizio del contrasto tra la comunità omosessuale e la polizia, che incarnava la pruderie e il bigottismo della cultura ‘ufficiale’.

La repressione
Le intenzioni repressive della polizia si scontrarono però con la mancanza di una legge che permettesse la chiusura di un locale solo perché frequentato da omosessuali, nonostante che l’omosessualità fosse illegittima. La polizia trovò un importante alleato nell’ufficio preposto alla concessione delle licenze per lo spaccio di alcolici. Questo ufficio poteva infatti il potere di revocare la licenza ai locali ‘disordinati’.
Per evitare problemi, i locali diretti alla clientela omosessuale iniziarono ad operare allora senza licenza, cosa però che li esponeva ai raid della polizia. La formula era quella dei bottle bars ovvero circoli privati in cui teoricamente erano i clienti a portare le bevande da casa!
L’altra alternativa per un locale gay era quella di essere gestito dalla mafia, che aveva i mezzi per corrompere la polizia. Le mazzette non servivano comunque a proteggersi dai raid degli agenti: il vantaggio era che questi venivano prima annunciati, in modo da limitare i danni.
Le incursioni della polizia erano una parte ‘normale’ della vita di un omosessuale nelle città statunitensi. Fino al 1965 l’identità dei presenti al momento di una retata in un locale con clientela omosessuale era, in alcuni casi, addirittura pubblicata sui quotidiani. E fino al 1966 la polizia poteva adescare omosessuali per la strada per spingerli ad infrangere la legge.
A seguito della protesta ‘spin-in’ avviata dal gestore del Julius, un locale proprio del Village, nel 1966, due distinte sentenze giudiziarie stabilirono che servivano prove sostanziali per revocare una licenza per gli alcolici: il bacio tra due uomini non rientrava tra queste.
La situazione però non migliorò di molto. I primi giorni dell’estate newyorchese del 1969 furono caratterizzati da una vera e propria ondata di raid polizieschi verso locali con clientela gay. Il primo cittadino uscente, John Lindsay, sconfitto alle primarie del suo partito, voleva mettersi in mostra liberando la città dai locali gay.

I moti dello Stonewall Inn
Uno dei più importanti tra questi locali era lo Stonewall Inn, in Christopher Street: una delle più antiche strade del Village. Lo Stonewall Inn, che ospitava due bar e due sale da ballo, era l’unico locale newyorkese dove i gestori  permettevano a due clienti dello stesso sesso di ballare assieme. L’arrivo della polizia era annunciato dall’accensione delle luci nelle sale: in quel momento ogni interazione tra individui dello stesso sesso doveva cessare. Il locale, gestito dalla mafia, era evidentemente un bersaglio facile per la polizia, anche per una serie di voci che lo accusavano di ospitare un giro di prostituzione. Lo Stonewall Inn era però il rifugio di tante persone emarginate, che li trovavano la possibilità di passare una notte al caldo.
Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 agenti in divisa si presentarono alle porte dello Stonewall Inn senza avvisare, come era consuetudine, la proprietà. Secondo la tradizione, al momento dell’irruzione nel locale suonavano le note di “Over the rainbow” cantata da Judy Garland. All’interno trovarono 205 persone, che furono allineate per il controllo dei documenti. I minorenni, coloro che non avevano documenti e quanti indossassero vestiti non conformi al genere furono fermati. Come da prassi. Ma quella sera qualcosa andò storto. Il solito copione  di umiliazioni e violenze perpetrate dalla polizia venne infranto. I clienti in abiti femminili si rifiutarono di seguire in bagno le agenti per la verifica del sesso; quelli che erano stati mandati via, invece di disperdersi come al solito e trovare rifugio nelle ombre della notte, si radunarono davanti al locale. All’arrivo dei cellulari un donna in abiti maschili che aveva già protestato mentre l’ammanettavano gridò agli astanti “Why don’t you guys do something ?”. Perché ragazzi state lì senza far niente ?
La tensione salì alle stelle. La polizia, colpita da un lancio di oggetti, dovette barricarsi nel locale. Era l’inizio dei moti di Stonewall, destinati a diventare l’evento simbolo della lotta contro le discriminazioni degli omosessuali e non solo.
In tutto le notti di scontri furono cinque. Tra le testimonianze raccolte è sintomatico, per capire il pensiero dominante all’epoca, lo stupore di molti di fronte alla ribellione degli omosessuali, ritenuti incapaci di qualsiasi forma di coraggio fisico.

Le conseguenze
Già durante gli scontri fu convocata una assemblea per discutere dell’accaduto: uno degli eventi che culminerà con la fondazione del Gay Liberation Front. Movimenti simili nacquero in tutto il mondo: in Italia bisognerà però aspettare il 1972, quando a Sanremo la comunità omosessuale si riunì per protestare contro il congresso internazionale sulle devianze sessuali.
I moti di Stonewall non furono né gli unici, né i primi. Divennero però uno spartiacque nel movimento di liberazione omosessuale grazie all’idea del GLF di commemorarli il 27 giugno 1970 con una parata dell’orgoglio: il Pride. Una manifestazione viva ancora oggi, pubblica ed aperta a tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale, per celebrare l’autoaccettazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, non-binarie e queer e per rivendicare i diritti sociali e legali spesso in larga parte ancora oggi negati. Una società che vuole essere veramente democratica e rispettosa dei diritti umani non può discriminare alcuna minoranza. Non a caso l'articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce che "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Il rispetto e la responsabilità delle minoranze, a partire da quella che si riconosce nella bandiera arcobaleno creata da Gilbert Baker nel 1978, è un dovere morale e civile.
L'omosessualità verrà rimossa dall'elenco delle malattie mentali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità soltanto il 17 maggio 1990. Per celebrare questa data, a seguito di alcune dichiarazioni contro la comunità LGTB, l'Unione Europea ha dichiarato il 17 maggio Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia.
 

Testo a cura di Alessio Pierotti